ph: Richard Patterson, lic. cc.
La legge n.71/2017 definisce cyberbullismo “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, … realizzata per via telematica, il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
Le caratteristiche del cyberbullismo sono:
- il contesto virtuale;
- l’anonimato dell’aggressore.
Tali caratteristiche rendono il cyberbullismo una fattispecie particolarmente aggressiva.
Il contesto virtuale in cui avvengono tali pressioni provoca come conseguenza, prima di tutto, il fatto che queste siano senza limiti.
L’aggressione, infatti, non è legata ad un contesto specifico ma è continua e costantemente presente nella rete; non esiste più, quindi, un luogo o un momento in cui la vittima può sentirsi al sicuro ed evitare tali attacchi.
Inoltre, il contesto virtuale spesso non permette l’eliminazione dell’offesa o dell’aggressione, che rimane così alla portata di chiunque disponga di un dispositivo capace di navigare online.
In ogni caso, anche qualora si riuscisse ad ottenere la cancellazione del contenuto offensivo, non è possibile escludere la diffusione molteplice del contenuto prima che la cancellazione avvenga.
L’anonimato, inoltre, incoraggia le condotte dei cyberbulli.
Questi, infatti, manifestano atteggiamenti che probabilmente nella vita reale non terrebbero, proprio in virtù dell’impossibilità di identificare l’autore del contenuto.
Cyberbullismo tipologie di reati
I reati che si possono configurare sono molteplici, tra questi i principali sono:
- la diffamazione: ai sensi dell’art 595 c.p. consiste nella condotta di chi, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.
In questo caso specifico la fattispecie risulta aggravata.
Nel caso in esame infatti, essendo l’offesa provocata tramite l’utilizzo di una piattaforma online è in grado di determinare una diffusione molto più ampia del contenuto diffamatorio;
- la molestia: ai sensi dell’art 660 c.p. punisce chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.
Questa tipologia di violenza viene definita anche come Harassment e si realizza inviando in maniera ossessiva e ripetuta messaggi contenenti insulti;
- la minaccia: ai sensi dell’art. 612 c.p. consiste in un comportamento intimidatorio con la prospettazione di un danno ingiusto;
- gli atti persecutori: ai sensi dell’art. 612 bis c.p. punisce chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura.
Giurisprudenza
Numerose sono le sentenze che negli ultimi anni si sono occupate del fenomeno del cyberbullismo.
Tra queste la sentenza del Tribunale di Sulmona n.103/2018 che ha sancito la responsabilità per “culpa in educando” dei genitori degli autori dell’offesa.
Nello specifico un gruppo di minorenni tramite il social Facebook pubblicava, senza autorizzazione, una fotografia di una loro coetanea ritratta senza veli.
I cyberbulli venivano presto individuati e rinviati a giudizio innanzi al Tribunale dei Minorenni.
Il Tribunale accoglieva la domanda degli attori e condannava i genitori dei minorenni al pagamento in favore della vittima di 84.000,00 Euro a titolo di risarcimento dei danni.
Secondo il Giudice, quindi, è onere del genitore provare e dimostrare “il corretto assolvimento dei propri obblighi educativi e di controllo sul figlio, solo in tal modo potendosi esonerare dalla condanna risarcitoria“.
Per tali ragioni, le offese veicolate tramite la rete hanno spesso una forza dannosa più rilevante rispetto a quelle ordinarie e necessiterebbero di una tutela maggiore da parte del legislatore e l’applicazione di pene più severe.
Per ulteriori chiarimenti o informazioni contatta l’Avv. Pinuccia Cassatella dello studio Lexinto.